Il nuovo progetto di ENEA in collaborazione con Politecnico di Torino per realizzare un dispositivo tecnologico in grado di produrre elettricità da una fonte energetica rinnovabile.
Il mare, il nostro mare Mediterraneo, è la cosa più preziosa che abbiamo: è da secoli il centro culturale e commerciale dell’Italia, aiutando la crescita economica e rendendo il paese forte e competitivo a livello internazionale, attraverso gli scambi con gli altri paesi che vi si affacciano.
Come già presentato nell’articolo riguardante la dissalazione sostenibile, ad oggi il mare presenta ulteriori opportunità di ricchezza: è un valido aiuto nel contrastare la crisi idrica tramite la dissalazione, ma è anche un ottimo alleato per la produzione di energia da fonti rinnovabili; in particolar modo, negli ultimi anni si sta investendo molto sull’energia prodotta dalle maree. Questo tipo di energia presenta innanzitutto il vantaggio di essere completamente inesauribile, ma anche il fruttuoso vantaggio di essere applicabile su buona parte del territorio costiero italiano, soprattutto nelle zone insulari, nelle quali ancora oggi esistono centrali elettriche molto arretrate e alimentate tramite combustibili fossili.
La situazione delle isole
Citando le isole, subito viene in mente la Sicilia, che come detto nell’articolo sulla dissalazione, sta soffrendo la mancanza di acqua: a questo punto, viene spontaneo chiedersi se veramente la situazione energetica sia così critica, tanto da dover essere necessario un cambiamento di questo genere in termini di impiantistica. Come di consueto, la risposta è affermativa!
La situazione nelle isole dell’arcipelago siciliano è purtroppo assai complicata: nessuna isola minore è infatti connessa alla rete elettrica nazionale; le isole siciliane si trovano dunque obbligate a provvedere autonomamente alla corrente elettrica tramite centrali termoelettriche a gasolio, gestite solitamente dalle imprese locali.
Le centrali, ovviamente, hanno un impatto ambientale molto alto, per cui, con l’intento di limitare i danni, nel 2017 il Ministero dello Sviluppo Economico ha fissato degli obiettivi precisi (con relativi incentivi economici) sulla quota di energia da produrre attraverso le rinnovabili, da raggiungere entro fine 2020. Delle isole siciliane, soltanto Ustica, nella quale le rinnovabili superano il dieci per cento del fabbisogno complessivo, è riuscita a raggiungere l’obiettivo del Governo; nelle Pelagie le rinnovabili coprono solo il 6% del fabbisogno, nelle Egadi e nell’isola di Pantelleria il 3%. Per quanto riguarda le Eolie, si supera di poco l’1%, mentre a Salina le rinnovabili coprono appena lo 0,33% del fabbisogno. (fonte Legambiente)
Impieghi nel mondo
Dunque, cosa fare per arginare questo fenomeno? Bisogna per forza ricorrere a centrali di energia mareomotrice, con il rischio di distruggere la fauna ittica locale?
Precisando che non tutti i tipi di energia mareomotrice disturbano la fauna ittica (come verrà spiegato più avanti), occorre precisare che questa energia è di gran lunga la più efficacie e più facilmente sfruttabile per le isole. In Europa, sono diversi gli stati che hanno iniziato ad utilizzare questa nuova forma di energia, tra cui la Francia e il Regno Unito, che sono i due maggiori produttori: nella regione della Bretagna, già dal 1966, esiste a Saint-Malo un impianto fluviale di energia mareomotrice tramite sistemi a barriera. Questo impianto funziona tramite la raccolta dell’acqua durante l’alta marea, all’interno di un bacino artificiale o naturale, mentre nella bassa marea l’acqua defluisce passando attraverso una serie di condutture idrauliche, al cui interno si azionano le turbine collegate ai generatori elettrici messe in moto dal passaggio dell’acqua. Purtroppo, questi sistemi a barriera hanno un costo elevato ed un impatto ambientale significativo.
Per quanto riguarda il Regno Unito, sono circa 1.700 i lavoratori che si occupano del settore dell’energia mareomotrice, e secondo alcune previsioni, potrebbero arrivare a oltre 22.000 posti di lavoro entro il 2040. Questi numeri sono di rilievo, soprattutto perché la creazione di queste nuove opportunità lavorative sarà localizzata in aree molto periferiche, come le Highlands e la costa britannica occidentale (geograficamente le zone maggiormente sfruttabili per quanto riguarda le maree), che sono regioni con scarse possibilità occupazionali e relativamente poco industrializzate. Un fenomeno analogo potrebbe accadere ovviamente anche nelle isole italiane, se questo settore prendesse il via anche in Italia: le isole siciliane potrebbero trarne un enorme profitto economico ed occupazionale.
Il Regno Unito, a differenza della Francia, ha sviluppato tecnologie che sfruttano il moto ondoso, significativamente più sostenibile e più efficacie in contesti insulari: il caso di maggior successo è stato MeyGen, il più grande impianto esistente in questo settore, situato al largo della Scozia settentrionale, è composto da una serie di grandi turbine installate sul fondale marino. MeyGen, nel 2018 in un solo mese, ha generato ben 1.400 MWh di energia elettrica, sufficienti ad alimentare 5500 abitazioni.
Considerando che la popolazione di tutto l’arcipelago delle Pelagie è di circa 6000 abitanti, un impianto simile a Meygen coprirebbe più che abbondantemente il fabbisogno energetico degli abitanti, risparmiando all’ambiente la CO2 prodotta dalle centrali termoelettriche.
PEWEC, il nuovo convertitore di energia elettrica a moto ondoso
Quindi, veramente è possibile applicare questo tipo di tecnologia anche all’Italia? Ovviamente sì!
Come annunciato all’inizio, ENEA e Politecnico di Torino hanno creato il PEWEC (PEndulum Wave Energy Converter), un dispositivo tutto italiano che sfrutta il moto ondoso per produrre energia elettrica sostenibile. Si legge dal sito ufficiale di ENEA: “Il PEWEC è un convertitore di onde marine in energia elettrica per il Mediterraneo, dove le onde sono di piccola altezza e alta frequenza. Questo sistema low-cost di produzione di energia dal mare si presenta particolarmente interessante per le tante piccole isole italiane non autosufficienti energeticamente, dove la fornitura di elettricità è garantita da costose e inquinanti centrali a gasolio.
Il dispositivo si presenta della forma di uno scafo semicircolare, da localizzare al largo della costa, così da essere in grado di produrre energia elettrica sfruttando il moto oscillatorio delle onde. Le dimensioni del prototipo da 525kW sono di 15 metri in lunghezza, 23 di larghezza 7 metri in altezza, per un peso (comprensivo di zavorra) di 1.000 tonnellate. Secondo Gianmaria Sannino, responsabile del Laboratorio ENEA di Modellistica Climatica e Impatti, le coste migliori dove localizzare questi dispositivi sono il Canale di Sicilia o il nord-ovest della Sardegna, entrambe zone ricche di isole poco densamente popolate.
“Una decina di questi dispositivi potrebbero produrre energia elettrica per un paese di 3mila abitanti, contribuendo in modo significativo a contrastare i fenomeni di inquinamento e di erosione attraverso la riduzione dell’energia delle onde che si infrangono sulla costa, senza impattare in maniera significativa su flora e fauna marine”, aggiunge Gianmaria Sannino.
Quindi, ricapitolando, l’energia delle maree è al momento uno dei tipi di rinnovabile più efficacemente sfruttabile in Italia: è un’ottima occasione per le tante isole non autosufficienti di rendersi indipendenti energeticamente in maniera sostenibile ed inoltre, fattore di assoluta importanza, porterebbe ingenti fondi (sia Europei che nazionali) alle amministrazioni dei comuni insulari, generando migliaia di posti di lavoro in un settore estremamente innovativo.